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Da sempre il genio degli scrittori viene associato alla sregolatezza e all'eccesso dei vizi. L'alcol, più di tutte le altre sostanze, è stato spesso il compagno di viaggio fedele di molti autori che ne hanno approfittato, anche fino a morirne.
Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Jack Kerouac, Jack London ma anche Dorothy Parker o Curson McCullers sono solo alcuni dei nomi che hanno contribuito ad alimentare il mito di autodistruzione legato a scrittura e alcolismo, creando anche falsi miti e mistificazioni della realtà. Non dimentichiamo infatti le parole di Stephen King, anche lui ex alcolista che, nella sua auotbiografia, On Writing scrive a riguardo:
L'idea che lo sforzo creativo e le sostanze che alterano la mente siano strettamente legati è una delle grandi mistificazioni pop-intellettuali del nostro tempo. I quattro scrittori del ventesimo secolo il cui lavoro è soprattutto responsabile di questa mitologia sono probabilmente Hemingway, Fitzgerald, Sherwood Anderson e il poeta Dylan Thomas. [...] Lo scrittore tossicodipendente è nient'altro che un tossicodipendente, sono tutti in altre parole comunissimi ubriaconi e drogati. La pretesa che droghe e alcol siano necessari per sopire una sensibilità più percettiva non è che la solita stronzata autogiustificativa. [...] Hemingway e Fitzgerald non bevevano perché erano creativi, diversi o moralmente deboli. Bevevano perché è quello che fanno gli alcolisti. Probabilmente è vero che le persone creative sono più vulnerabili di altri all'alcolismo e alla dipendenza dagli stupefacenti, e allora? Siamo tutti uguali quando vomitiamo ai bordi della strada."