L'ultima sala è dedicata all'affresco.
Antonio Manzi scopre l'antica tecnica del buon fresco nel 1984 e, come sarà il marmo per la scultura, così l'affresco ha per l'artista il fascino della classicità nella pittura, della sua eticità dovuta alla materia e alla tecnica apparentemente elementari e all'impossibilità di manipolare queste attraverso qualsiasi moderno e sofisticato mezzo o strumento.
L'operare ad affresco per Manzi è ancora quello che si è affermato nel Medioevo, attestato dagli straordinari cicli sacri che illustrano la Bibbia nei cori e nelle navate delle chiese gotiche della penisola italiana.
È la materia che l'artista ritiene più confacente ad esprimere la sua religiosità ed è anche il mezzo per saggiarla e approfondirla legandola in maniera imprescindibile ad un luogo sacro.
I primi lavori a buon fresco riguardano infatti soggetti sacri realizzati in edifici religiosi od originariamente destinati al culto.
Il tema sacro è presente anche negli affreschi di dimensioni più contenute realizzati su supporto ligneo - che presuppongono comunque le stesse materie e la stessa tecnica dell'affresco murale, come testimoniano alcune opere quali Natività e Cristo morente, esposte in questa quinta sala, che rivelano nella semplicissima iconografia e nell'essenzialità cromatica un desiderio di recuperare in maniera del tutto personale la tradizione pittorica due-trecentesca italiana e soprattutto la sua spiritualità.
Affresco per Antonio Manzi significa segno, ma anche materia cromatica - come la maiolica -, per cui specialmente nell'ultimo decennio approfondisce sempre di più le possibilità espressive del colore in sé.
Si giunge pertanto alle ultime opere che colpiscono proprio per l'esuberanza del colore ottenuta sovente per accostamenti di primari e complementari, ed è demandata proprio al colore l'espressione della gioia e della vitalità, sensazioni interiori legate indissolubilmente al sentimento amoroso.
Gabriella Mancini - tratto dal catalogo "Il Museo Manzi"