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Recensione di Francesca Cecchi -15 luglio 2004

Immagine della copertina del libro Il signore degli anelli di John Ronald Reuel Tolkien

Il signore degli anelli : trilogia

John Ronald Reuel Tolkien
Edizione italiana a cura di Quirino Principe ; introduzione di Elémire Zolla
Milano : Bompiani, 2000
1359 p. : ill. ; 22 cm + 1 c.
Trad. di: The lord of the rings
Collocazione : P FAN 823.914 TOL

 
 

Ce l'ho fatta! Dopo neanche un mese ho finito "Il Signore degli Anelli"! (niente applausi per favore)

Che dire? Prima di tutto vorrei fare le mie scuse a Tolkien (ammesso che gli possa importare) perché avevo mal giudicato la sua opera. Certo, il ritmo a volte cala, ci sono molte parti noiose, ma nel complesso è un buon romanzo... sempre se si riescono a superare le prime 300 pagine.

Infatti la mia prima impressione su "La Compagnia dell'Anello" non è stata molto positiva. Dopo la descrizione della festa di compleanno di Bilbo e l'antefatto che dà il via alla storia, Tolkien parla degli hobbit e del loro viaggio per giungere a Gran Burrone. Ora, ben sapendo che i fans dello scrittore mi aspetteranno sotto casa con un grosso randello, non posso fare a meno di dire che questa parte è veramente noiosa, soprattutto per quelle canzoncine. Un'altra ancora e cominciavo a fare il tifo per Sauron! Respingendo la voglia di chiudere il libro e passare ad altro, ho continuato e mi sono pian piano emozionata. Ci sono, in questo primo libro, scene veramente ben scritte e appassionanti: l'episodio di Moria, con quel buio avvolgente e quei passi che seguono la compagnia (chi ha visto il film già sa di chi si tratta); la lotta con gli orchi e col Balrog; la poesia dell'incontro con Galadriel; la lotta interiore di Boromir (il personaggio più interessante insieme ad Aragorn). Insomma dopo la partenza della Compagnia, il libro mi ha conquistato e ho iniziato a fare meno caso ad alcuni momenti prolissi e monotoni. Nel complesso però vince il film.

Il discorso cambia quando ho intrapreso la lettura di "Le due torri". Malgrado il film mi sia piaciuto (così come gli altri due), ho dovuto notare con rammarico l'assenza di scene veramente belle o la loro scarsa resa sullo schermo. Mi riferisco all'intero capitolo "La voce di Saruman" e all'episodio di Shelob (spostato nel terzo film). La scena dell'incontro finale tra Gandalf e Saruman è affascinante e altamente shakespeariana: Saruman infatti incanta con la parola, così come facevano Riccardo III e Jago. E' mellifluo, falso e traditore, eppure è un piacere ascoltarlo; tutto il contrario di Gandalf, più rude e diretto nel suo modo di fare, tanto da risultare antipatico. Leggendo mi è venuta in mente la figura di un serpente: con il suo lento e ritmico sibilo riesce ad incantare la vittima spaventata mentre pian piano gli si aggroviglia intorno pronto ad uccidere. Una scena superba che sarebbe stata ottimamente interpretata dal "principe delle tenebre" Christopher Lee: peccato che Jackson non l'abbia inserita. Dovrebbe essere all'inizio del dvd di "Il ritorno del re": aspettiamo e vediamo. Il potere della parola torna anche nel personaggio di Vermilinguo, interpretato in maniera eccellente da Brad Dourif: se Jackson mostra un Theoden posseduto, Tolkien parla di un re ammaliato, vittima delle parole subdole di Vermilinguo (una scelta registica non disprezzabile).
L'incontro con Shelob è uno dei pochi in cui il film delude rispetto al libro. Jackson non ha saputo rendere il lento cammino dei due hobbit nel buio più totale, circondati da un alone di morte, gli occhi che osservano le vittime, il terrore di sentirsi inseguiti e di non poter vedere. Io sono aracnofobica e ho paura del buio: quando ho letto quelle pagine ero talmente in tensione che, se qualcuno mi fosse venuto alle spalle, sarei saltata in piedi urlando. Ricordo gli occhi del ragno, la prima cosa che Sam e Frodo vedono alla luce della Fiala di Galadriel, ricordo Sam che vede quel ragno gigantesco inseguire il suo padrone, ricordo la lotta del piccolo e grasso hobbit contro quell'orrore: brrrrr!!!
Lo stesso discorso vale per due personaggi del libro che perdono nella loro trasposizione filmica: Eomer e Faramir. Il primo, nipote di Theoden, compare poco nel film, molto meno che nel libro, dove diviene fratello di guerra di Aragorn. Un personaggio perso, poco valorizzato anche nel terzo film. Faramir è invece un caso a parte: il personaggio non perde in presenza scenica, bensì in psicologia. Sullo schermo è, come ho detto nell'opinione sul terzo film, un uomo diviso tra l'amore non corrisposto per il padre (scandaloso che sia stato tagliato il flashback di Osgiliath, con l'incontro tra Faramir, Boromir e Denethor) e il suo cuore puro e gentile. Vorrebbe l'anello per riuscire nell'impresa del fratello, ma sa anche che sarebbe un gravissimo errore: alla fine ha il sopravvento il suo animo nobile e lascia liberi i due hobbit. Nel romanzo, invece, è un uomo integro, l'esatto contrario del fratello Boromir. Non pensa mai di prendere l'anello (nonostante a volte lo lasci intendere a Frodo e a Sam) e si rammarica che il fratello sia potuto cadere in tentazione. E' ferito interiormente e si sente: ancora non sappiamo del rapporto conflittuale col padre, ma le sue parole sono cariche di una tale tristezza da fare intenerire il lettore.
Gli altri episodi e personaggi sono stati resi in maniera eccellente: splendidi Gollum, Vermilinguo e Barbalbero, felicemente riuscita la battaglia del Fosso di Helm (molto più breve nel romanzo).
Anche in "Il ritorno del re" ci sono situazioni e personaggi che hanno perso molto nel passaggio dalla pagina allo schermo (nonostante questo è, a mio avviso, il più riuscito dei tre). Denethor, il padre di Boromir e Faramir, non ha più tutta quella carica tragica che aveva per Tolkien. L'attore che lo interpreta, John Noble, è bravissimo nel rendere la follia da "Re Lear" del suo personaggio ma gli manca l'approfondimento del rapporto col figlio. Dov'è il loro dialogo sull'anello? Dov'è la scena dell'agonia di Faramir, in cui Denethor, schiacciato dai sensi di colpa ("Ho mandato mio figlio, senza un grazie né una benedizione, ad affrontare un inutile pericolo, ed eccolo che giace qui con il veleno nelle vene") e dalla pazzia, piange tendendo stretta la mano del figlio morente? Forse nel dvd le rivedremo (Noble nelle interviste parla di molte scene tagliate), chissà: ma la sequenza del film, in cui Denethor in fiamme corre a gettarsi giù dalla cittadella, è involontariamente ridicola. Gli altri cambiamenti sono tranquillamente accettabili, perfino il viaggio nel Regno dei Morti e l'assenza del Palantir di Denethor, ma si sente fortemente l'assenza delle Case di Guarigione. In tal modo non possiamo assistere alla nascita dell'amore tra Faramir ed Eowyn, una dei momenti più poetici di Tolkien. Nel film la scena dell'incoronazione di Aragorn ci mostra lo sguardo romantico che i due si scambiano: ma perché? Vista così sembra: "Povera piccola! Non ha potuto avere Aragorn. Diamole questo, va!". Invece nel romanzo vediamo come l'amore della Dama di Rohan per il futuro re di Gondor non sia altro che un'infatuazione: Eowyn ama l'ideale di coraggio e nobiltà che Aragorn incarna, non l'uomo. Quando incontrerà Faramir capirà cos'è il vero amore: entrambi sono feriti, hanno sofferto, è normale che si attraggono. Il loro è l'unico bacio del libro: nel film l'onore spetta ad Aragorn e Arwen, i protagonisti dell'unica storia d'amore della pellicola ("confinata" da Tolkien nell'appendice). Manca anche la scena del ritorno nella Contea: assenza scontata visto che Saruman non compare in scena nell'ultimo film.
Insomma un giudizio complessivo buono sia per il film che per il romanzo. Due considerazioni diverse, come diversi sono i due prodotti finali. Il film non poteva essere uguale al libro: "Il signore degli anelli" non è solo il libro di Tolkien, è anche il film di Jackson e il regista doveva metterci la sua impronta. Quale regista con un po' di stile (e Jackson ce l'ha) può sopportare di mettere in scena un romanzo senza far ricorso alle sue idee? Onore quindi a Jackson, anche per i difetti dei suoi film. E onore a Tolkien, anche per i difetti dei suoi libri.
Un'ultima considerazione, che giustifica anche il titolo dell'opinione. Malgrado all'inizio li odiassi, non posso fare a meno di notare che i veri protagonisti sono i quattro hobbit. Certo anche le altre figure sono importanti: grazie ad un "montaggio alternato" Tolkien ha fatto in modo che tutti i personaggi avessero i suoi "cinque minuti di celebrità". Ma sono i quattro amici, Frodo, Sam, Pipino e Merry a compiere la più grande evoluzione: da hobbit qualunque a protagonisti di una grande vicenda. Aragorn giustamente afferma: "Non vi dovete inchinare davanti a nessuno". Sono loro i veri eroi, perché erano quelli che meno si prestano all'immagine di eroi. Calmi e bonaccioni, si sono dimostrati capaci di affrontare tutte le avversità: sono partiti per un viaggio senza ritorno nel regno del Male, hanno combattuto in battaglia, hanno salvato la vita degli amici. Tutto questo per poi tornare alla vita normale. Ma tutto cambia, anche l'ambiente intorno: Frodo ormai è estraneo a questo mondo, così parte insieme agli Elfi, mentre Pipino e Merry sono diventati cavalieri di Gondor e di Rohan, ammirati dagli altri hobbit. Solo Sam tornerà tranquillo alla sua vita di tutti i giorni. E' giusto che sia il libro sia il romanzo si chiudano sul suo ritorno a casa, accolto da moglie e figli: il trionfo dell'uomo... pardon, dell'hobbit qualunque.

 

 
 



Ultima Modifica: 15/05/2016

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